giovedì 12 luglio 2012

S- Noi due, in bici a Milano.

Succede tutto in una manciata di secondi.
Il tempo di un respiro e siamo io e lei: mi trasformo in una di quelle dueruote che sfrecciano in Corso Vittorio Emanuele -sfrecciano esitando, in realtà, nel tentativo di evitare i pedoni-.

Sono stretta al manubrio di Cinzia (così mi ha detto di chiamarsi), la bicicletta rosa Legnano imprestatami da Micol. L'ho recuperata al Melrose Place, con la silenziosa benedizione di Diego e dei rampicanti del cortile.
 Siamo partite prima piano, conoscendoci un poco fra i solchi del pavè del Naviglio Grande; abbiamo superato le insidie dei binari del tram e via, verso Sant'Eustorgio, le Colonne di San Lorenzo, via Torino (percorsa mano nella mano) e il Duomo.
Un'immagine di chiara libertà mi si stampa in faccia: Cinzia, hai capito?
Siamo libere. Io e te, tu e me.
Dopo tanto tempo cavalco di nuovo le due ruote sottili di una bicicletta in una Milano ancora mia, di cui ricordo le strade ma non i nomi, di cui capovolgo le curve salendo sul marciapiede d'asfalto.

Fa caldo, ma va bene, va benissimo.
Passo sotto l'ombra degli alberi pedalando lungo una pista ciclabile che tre anni fa non esisteva e sento un forte tuffo al cuore: è un tuffo bello, di quelli olimpionici, di quelli che puntano alla medaglia d'oro della nostalgia felice.
Milano mi fa disperatamente innamorare ogni giorno di più, con il bar con le sedie di metallo colorato (che resistono al rumore di Corso Buenos Aires) e con i caffè alla torrefazione.
Ci si mettono pure gli arcobaleni e le vinerie che vendono il Bianco Veneto sfuso, a 3 euro la bottiglia.

Parcheggio Cinzia in Sangallo (che gesto fatto e rifatto, penso) e salgo; sono l'animale domestico di Gaia che si pulisce e si distende languido sul suo letto. Ci offriamo libri e parole.
Una cena più tardi riprendo la puledra e via, ancora, nelle luci giallognole della sera: incappiamo in un palazzo nerissimo, nel cuore di Città Studi, con cinque vetrate illuminate d'arancio. Sembra il modellino di sè stesso.

Una tipa, su un balcone al terzo piano di una casa in Gran sasso, fuma e fa le facce.

Fischiettiamo la nostra canzone.
"Tutta miaaa la cittaaaaà..." 

Guarda, Cinzia, questo è il cortile.
Io vado a dormire al quarto piano, ora. Ti lascio qui fuori, ma ti lego al palo.
"Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio" dice mia mamma, travestita da banconota da 20 euro.
Chiave, lucchetto, catena.

Buonanotte, Cinzia, a domani.


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